domenica 26 dicembre 2010

Nella notte



Non è facile sopravvivere alle feste.
Il cibo, le telefonate, una pioggia di aspettative.
Anche quest'anno ce l'ho fatta, senza essere risparmiata dalla solita chiamata che non avrei mai voluto ricevere. Ma che si può fare? Ciascuno è figlio della propria storia e da quella non si può scappare.
Si può solo tentare di cavarsela il meglio che si può, impegnandosi a sorridere e a credere nella vita quel tanto che basta per sentirsi ogni giorno migliori, anche di un nichelino.
Per parte mia il giorno di Natale ha simboleggiato tutto questo, condensato in poche scelte ma efficaci e drastiche, un po' di dolore mattutino che è stato presto superato con una dormita protrattasi fino alle 13 in punto, un pranzetto succulento preparato in men che non si dica e molti film visti e rivisti nel corso degli anni che ormai hanno un valore simbolico unico e perfetto nella loro dolcissima nostalgia.
Ora andrò a coricarmi e mi trastullerò con la Nintendo e il Professor Layton fino a quando il sonno non mi coglierà per intero.
Il mio pensiero protettivo va ad un viaggiatore notturno solitario.
Che la Luce lo accompagni sempre, ovunque vada.....

Buonanotte a voi tutti, piccoli principi di un mondo in miniatura.
Francesca


giovedì 23 dicembre 2010

Leggerezza ed estasi



Ci sono giorni in cui resistere alle tentazioni è impossibile.
Oggi è uno di quei giorni.
Qual'è la mia odierna tentazione?
Sentire fino allo spasimo, assaporare come in un amplesso il desiderio che quasi fa perdere i sensi, che non lascia via di fuga alle crepe della realtà.
Nel delirio del possibile abbandono ogni reticenza, vinta dal sublime e da quel senso inquieto di speranza che avvolge i cuori forti e un po' incoscenti.

Francesca

PS: La canzone l'ho incisa l'anno scorso. L'ho inserita perchè volevo ci fosse qualche traccia di me oggi, qualcosa in più di parole ed immagini.

mercoledì 22 dicembre 2010

Omaggio alla Virtù


Abbi pietà di me
Abbi pietà di me che sto lontana
che tremo del tuo futile abbandono,
tienimi come terra che pur piana
dia nella pace il suo perdono
od anche come aperta meridiana
che dia suono dell'ora e dia frastuono,
abbi pietà di me miseramente
poichè ti amo tanto dolcemente.

Alda Merini


Cosa esiste di più dolce del viso ritratto da Dante Gabriele Rossetti in questo dipinto?
E cosa esiste di più dolce delle parole semplici con cui Alda dipinge a sua volta l'Amore?
Già, perchè l'Amore è semplice, non ha bisogno di parole complicate per giungere alla meta.
Il lucore intenso del Suo abbraccio è schietto e puro, scevro di inganni, arreso dinanzi alla propria evidenza.
Oggi la mia Anima è così, arresa all'evidenza.
Canto a mezza voce, senza fretta e priva di qualunque rimpianto.
Ciò che resta corrisponde al vero.
Ciò che scompare era soltanto un sogno.
Esistere è resistere, volando.

Francesca

Tenerezze filosofali



Quest'oggi un amico mi ha fatto notare come i miei scritti siano sempre troppo malinconici. Forse qualcosa di vero nelle sue parole c'è. Non lo nego, nè mi sforzo nel tentativo di.
Oso solo palesare il fatto che non sempre nella vita si può essere ciò che gli altri pretenderebbero da noi, che non sempre l'immagine che il mondo vede corrisponde al senso profondo del nostro sentire.
Nel mio caso probabilmente l'esteriorità stride in modo acuto con l'interiorità.
E per questo la mia vita risulta essere ancora più difficile e controversa.
Come si fa a spiegare all'altro, a colui che per definizione "è diverso da sè", che tutti i pregiudizi, i preconcetti di cui si è nutrito per una vita intera non valgono nel caso che gli si para innanzi? Con quali parole?
Una volta, tanto tempo fa, mi sforzavo di tradurre. Ora non più.
Ora so che certe verità vengono colte dall'anima e che per essa non v'è bisogno di parafrasi alcuna.
Semplicemente c'è chi riesce ad andare a fondo e chi no, chi per natura è portato a scavare, a vedere oltre la superficie e chi si limita ad osservare la cornice.
Non è compito mio cambiare la natura delle persone che incontro.
Io offro solamente un'occasione: sta all'altro saperla - o poterla - cogliere, oppure no.
Relegarmi in un angolo è stato lo sport preferito del mondo in cui ho vissuto per anni, perfino quello familiare.
La mia "diversità" era un problema ed io - pur incolpevole - ero giunta a viverlo come tale.
Ora so che il problema però non era mio, era degli altri.
Chi vive la propria vita e la propria vocazione onestamente è sempre un pericolo per il mondo intorno.
Si tenta di soffocarlo, reprimerlo, farlo sentire "minorato" per mettere a tacere la propria coscienza, non necessariamente sporca, ma sicuramente fragile.
Ci vuole coraggio per guardare negli occhi l'abisso e tornare a sorridere, ad amare, a provare la dolcezza di un incontro, ad avere il senso impavido che ti fa dire "Non so cosa accadrà domani, ma so che sopravviverò, nel Bene e nel male."
Questo vuole essere il mio regalo di Natale per tutti voi, senza retorica nè presupponente faciloneria.
La consapevolezza che nonostante gli errori e le sbandate, i fallimenti e i dolori, coloro che sono alla ricerca di qualcosa di autentico durante la loro vita prima o poi lo troveranno. Magari non laddove l'avevano cercato, magari non nelle modalità previste ma il bello - e lo spaventevole a volte - della vita sta proprio nella sua capacità di sorprenderci e la nostra grandezza sta nella capacità di adattarci a ciò che essa da noi richiede, continuando a percorrere la strada a noi destinata, un po' come ha fatto il "Paralume Sbeccato".
Vi lascio con una frase di un libro regalatomi ieri da una persona che - nonostante la breve conoscenza - è già molto cara al mio cuore. Egli ha detto che in qualche modo sarebbe stato il libro della mia vita. E infatti pur non conoscendomi nei fatti ma con il solo respiro del cuore, non si è sbagliato.
"Questo libro vuole rivolgersi alla sensazione che esiste un motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo, e che esistono cose alle quali mi devo dedicare al di là del quotidiano e che al quotidino conferiscono la sua ragion d'essere; la sensazione che il mondo, in qualche modo, vuole che io esista, la sensazione che ciascuno è responsabile di fronte a un'immagine innata, i cui contorni va riempiendo nella propria biografia. (...) Questo libro, insomma, ha per argomento la vocazione, il destino, il carattere, l'immagine innata: le cose che, insieme, sostanziano la "teoria della ghianda", l'idea, cioè, che ciascuna persona sia portatrice di un'unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta."
                                                 James Hillman - Il codice dell'anima.

Il daimon fa sentire il suo richiamo in ciascuno di noi. C'è chi sceglie di ignorarlo e chi di ascoltarlo.
A tutti indistintamente auguro un Natale ricco di Verità e Amore.
Francesca

martedì 21 dicembre 2010

Il Paralume Sbeccato


Ho inventato questa favola l'altra notte, per fare addormentare qualcuno accanto a me che non riusciva  a prendere sonno. Spero vi piacerà. Io mi sono divertita a raccontarla e a sciverla.
Buona lettura!

C'era una volta, in una terra lontana lontana, una foresta incantata e all'interno di questa foresta una casa color ciclamino, abitata da due sposi che trascorrevano in serenità e pace la loro vita. Pur non avendo avuto figli la sorte li aveva benedetti con un Amore grande e il loro reciproco affetto era talmente straordinario che si impresse indelebilmente nell'ambiente a loro circostante e fece accadere un prodigio. Tutti gli oggetti della casa, invasi per anni quotidianamente dall'ardente fiamma dell'Amore, presero vita e divennero cari alla coppia di sposi quasi fossero stati degli esseri umani veri.
Un giorno, quando ormai molte primavere erano trascorse dal giorno dell'incantesimo, la donna divenuta anziana urtò per errore il paralume che le teneva compagnia durante le lunghe ore di lettura. Il paralume cadde e se ne ruppe un pezzetto e nonostante le premurose cure della vecchia signora non fu più possibile ripararlo, così che da quel giorno tutti presero affettuosamente a chiamarlo il "Paralume Sbeccato".
Passarono così lunghi anni e un giorno la coppia di sposi, giunta al termine del proprio cammino, scivolò serena nel sonno eterno dopo aver salutato tutti gli abitanti della casa  e aver loro raccomandato di prendersi cura reciprocamente gli uni degli altri e della magione che a loro veniva lasciata in eredità.
Tutti loro furono di parola: per i successivi 150 anni attesero con amore alle faccende domestiche, la Signora Scopa spazzò ogni giorno le stanze e il vialetto, Mr Martello si occupò insieme ai suoi compagni  Antiruggine e Messer Chiodo di riparare le falle laddove si presentavano mentre ogni sera Madama Biblioteca teneva alto il morale della truppa raccontando storie sempre nuove ed avviccenti, a volte tristi e a volte divertenti.
Trascorsi 150 anni una mattina un ignoto viaggiatore si fece avanti sul vialetto di casa.
Dopo che ebbe varcato la soglia tutti gli oggetti si resero subito conto che in lui vi era qualcosa che non andava: era ubriaco e i suoi occhi erano rossi, come quelli di un folletto cattivo. In più pendeva dal suo collo uno strano medaglione d'argento, che emetteva riflessi malvagi.
Tutti rimasero silenziosi ed immobili ai propri posti nella speranza che il forestiero, non notando nulla di particolare, se ne andasse da dove era venuto.
Ma - ahimè - accadde qualcosa di imprevisto: l'odore intenso del viaggiatore cominciò a solleticare le narici di Poltrona, su cui lui si era seduto per riposarsi un attimo dalle fatiche del cammino. Il Paralume Sbeccato e i suoi compagni si prodigarono in numerosi cenni di silenzio in direzione di Poltrona, affinchè lei si trattenesse e scongiurasse il pericolo in cui tutti si trovavano.
E proprio quando sembrava che il peggio fosse passato : EEEEEEEETCIUUUUUUUUUUUU'.....
Il boato risuonò con un'eco profonda per l'intera magione silenziosa.
Il forestiero, stordito e spaventato dal rumore inatteso, si alzò in piedi di scatto e afferrato il bastone che portava con sè durante il cammino iniziò a rotearlo d'intorno, fracassando qualsiasi cosa giungesse sulla sua traiettoria.
Il Paralume Sbeccato - uscito di scatto dalla simulata immobilità - gridò : "Fermatelo! Presto! Andate a chiamare Madamigella Ascia e Mr Martello!" A quel grido Signora Scopa sgattaiolò al piano di sopra e chiamò a raccolta i suoi amici che non tardarono a correre in aiuto dei compagni in pericolo: Madamigella Ascia distrasse il viaggiatore impazzito e mentre costui cercava di difendersi dai pericolosi colpi dell'impavida guerriera Mr Martello lo aggirò e da dietro le spalle gli assestò un colpo così forte sulla nuca che ancor oggi il poveretto ne porta il segno.
Il viaggiatore stramazzò al suolo, svenuto, e nella casa fu di nuovo la pace.
Ma gli effetti della lotta non tardarono a manifestarsi: Poltrona aveva fodera e cuscini lacerati, a Tavolo mancavano le due gambe posteriori, Lume a Pendolo era precipitato sul pavimento e i suoi vetri erano andati in frantumi. E tutti gli altri avevano ricevuto la loro razione di danni, chi più chi meno.
Si udivano nel silenzio rattenuti lamenti, come se ognuno degli oggetti non volesse far pesare sugli amici il proprio dolore.
Paralume Sbeccato, che dalla lotta era miracolosamente uscito incolume, pur commosso innanzi allo spettacolo rovinoso che gli si parava innanzi, prese in mano le redini della situazione.
"Scaletta" - disse - "aiutami a portare di sopra questo uomo malvagio. Lo legheremo a Letto il Grande e cercheremo di capire quale disgrazia lo avveleni al punto da indurlo a compiere un gesto tanto malvagio quanto inutile."
Dopo che ebbero fatto ciò che egli aveva richiesto, così che l'uomo ora pareva un salame serrato nel suo budello, Paralume Sbeccato gli si avvicinò, non dovendo temere nuovi attacchi.
Il viaggiatore dormiva profondamente e Paralume riuscì senza sforzo a sfilargli il medaglione dal collo.
Sul retro della cassa erano chiaramente incise delle lettere ma lui non sapeva come decifrarle.
"Signora Scopa, vammi a chiamare Dottor Dizionario. Ho urgente bisogno di lui."
Dottor Dizionario era vecchio, con le pagine tutte ingiallite e doveva portare un paio di occhiali rotondi, data la sua veneranda età.
"Mi cercavi, Paralume?"
"Sì, Dizionario. Dovresti per favore tradurre cosa c'è scritto su questo medaglione. Non ne sono sicuro ma credo che potrebbe essere importante."
E così Dizionario si mise al lavoro. Dopo pochi minuti di febbrile attesa da parte di tutti i suoi amici richiamò l'attenzione su di sè.
"Ho capito, ho capito!" - esultò.
"Parla, Dizionario, cosa hai scoperto?" - lo incoraggiò Paralume.
"E' stato difficile tradurre queste parole oscure ma grazie all'aiuto di Cavalier Sinonimo il lavoro è fatto. La scritta sembra una maledizione e recita così :

"ALL'INCAUTO VIAGGIATORE
CHE RUBO' TUTTO IL MIO ARDORE
IO CONSEGNO UNO STRIDORE
NEL BEL LUOGO DEL SUO CUORE.
S'EGLI IN SE' VORRA'  TORNARE
LUNGA VIA DOVRA' AFFRONTARE.
E DEL MARE AI SUOI BEI FLUTTI
IL MIO DONO CONSEGNARE."
Tutti rimasero ammutoliti. La profezia aveva un che di sinistro, effetto amplificato dal fatto che pochi - o meglio - nessuno ne avesse capito il significato.
"Scusami, Dottor Dizionario, ma cosa significa quello che hai letto?" - chiese Paralume Sbeccato.
"E lo chiedi a me? Io sono solo un Dizionario. Io riferisco semplicemente quello che leggo. Se vuoi comprendere - oltre che leggere - dovrai andare da Lei..."
"DA LEI?" risposero in coro all'unisono tutti gli abitanti della casa.
"Sì, da Lei. Non c'è altra soluzione."
Lei era l'oggetto più caro dell'intera proprietà, l'oggetto che la vecchina quando era in vita teneva sotto una teca di vetro affinchè non si rovinasse e ne sfogliava poche pagine all'anno, per impedirne l'usura.
Lei era l'Enciclopedia Universale del Sapere e tutti in casa avevano rispetto e timore delle verità che uscivano dalla Sua bocca. Per questo ormai Ella si era rassegnata a vivere in eremitaggio, sebbene questo non Le facesse piacere, nè La rendesse felice. Ma era il Suo destino e, da saggia qual'era, aveva imparato a rispettarlo con serenità.
Un gruppo di pochi scelti, tra cui vi erano Paralume Sbeccato, Dottor Dizionario e Mr Martello, si avviarono verso la stanza proibita. Entrarono in silenzio e udirono il Suo respiro profondo: dormiva tranquilla dentro la sua solida teca.
Paralume si avvicinò e bussò con gentilezza sul vetro, imbarazzato dal timore di farla trasalire e arrabbiare.
Ma Lei si svegliò tranquilla, un po' sconcertata e anche contenta dell'inaspettata visita.
"Buongiorno, miei cari" - disse con la voce più dolce che mai potrete udire al mondo - "quale lieta novella vi conduce qui?"
"Reverendissima Sovrana, purtroppo non veniamo a Voi con buone notizie ma in cerca di consiglio. Vorreste accordarci il Vostro aiuto nel momento del periglio?"
L'Enciclopedia non sapeva cosa fosse appena accaduto al piano inferiore ma intuiva dagli sguardi spaventati e inquieti dei visitatori che la faccenda andava affrontata senza indugio e con coraggio.
"Sono qui per aiutarvi, miei piccoli amici. Ditemi cosa è accaduto."
Così Paralume Sbeccato le raccontò gli avvenimenti recenti che avevano sconvolto la loro pacifica vita e recitò la profezia, incespicandosi qua e là per l'emozione.
Quando il silenzio tornò nella stanza Lei si era fatta accigliata e triste, ma fu solo un lampo e subito il sorriso tornò a splendere sulle Sue sapienti labbra.
"Da ciò che mi raccontate deduco come il pover'uomo da voi legato nella stanza accanto sia un disgraziato pellegrino finito a chiedere l'elemosina nel castello della maga Baldrun. Ella, sola e senza amici per via del suo brutto carattere, deve aver costretto il viaggiatore a rimanere presso di lei per godere della sua compagnia, regalandogli il medaglione che voi avete visto al suo collo, come pegno della sua amicizia. Tuttavia nel lasso di tempo in cui ha goduto della sua presenza dopo tanti anni di solitudine ella deve esssersi invaghita dell'incauto forestiero il quale però sconvolto a causa della sua bruttezza e malvagità, sarà probabilmente fuggito nella notte, senza lasciare tracce dietro di sè. Quando la maga al mattino si  è accorta della sua fuga, una tale rabbia e frustrazione deve averla colta da indurla a lanciare nei suoi riguardi una maledizione talmente potente da imprimersi a fuoco come un marchio sul fondo del medaglione. Avendo probabilmente saputo durante il suo soggiorno al castello che il poveretto non era mai stato in riva al mare nè contava andarci per un qualche superstizioso timore, la strega lo vincolò alla profezia che avete letto, instillando il veleno nel buon cuore del malcapitato che ha avuto come unico difetto quello di essere stato poco accorto nella scelta delle amicizie. Ma si sa, quando Necessità chiama, il Buon Senso spesso fugge via."
"E cosa possiamo fare noi per aiutare il malcapitato?" chiese con ardore il Paralume Sbeccato.
"Dovrete recarvi in riva al mare e gettare il medaglione tra le sue onde. Solo questo scioglierà il pellegrino dalla maledizione che altrimenti lo vincolerà in eterno alla vecchia strega."
Un silenzio tombale scese nella stanza. 
Nessuno di loro era mai uscito da quella casa, nessuno aveva affrontato il mondo intorno e tutti avevano paura di non fare più ritorno, di spegnersi lungo la via o di perdere la strada di casa. Tutti tenevano gli occhi bassi, imbarazzati dalla loro pur scusabile pavidità. Finchè...
"ANDRO' IO!".
Tutte le teste si girarono in direzione di chi aveva osato pronunciare le fatidiche parole.
Il Paralume Sbeccato stava con la testa alta e avevo nello sguardo una scintilla fiera : "Andrò io e salverò lui e noi da questo terribile pericolo. Solo che non sono in grado di arrivare a questo mare senza una guida. Come farò? La mia impresa rischia di fallire ancora prima di cominciare."
"No, se io verrò con te."
Dal fondo della sala una voce baritonale tuonò in direzione di Paralume Sbeccato. Era Atlante, il libro tanto amato dal vecchio proprietario, tenuto sul comodino e sfogliato ogni sera, mentre con la fantasia lo scomparso padrone volava verso terre fantastiche che mai avrebbe veduto, se non attraverso gli occhi del desiderio.
"Bene" - proruppe Lei - "E' deciso. Ma dovrete partire subito. Non a lungo potremo tenere il prigioniero legato e quando egli si sveglierà, la forza straordinaria che la maledizione gli ha conferito sarà un pericolo grande per tutti noi. Andate, presto. Che la Saggezza e il Coraggio vi accompagnino lungo il sentiero."
Così Atlante e Paralume Sbeccato partirono alla volta della costa. Molti pericoli dovettero attraversare prima di giungere a destinazione e molte volte la loro determinazione fu messa alla prova ma per fortuna dei loro amici i nostri eroi non cedettero mai alla paura e seguitarono a percorrere la strada che il Destino aveva preparato per loro.
Dopo 3 giorni di ininterrotto cammino i due arrivarono alle pendici di un'alta scogliera. Stupiti dalla bellezza inimmaginabile che si stagliava innanzi a loro, rimasero immobili e muti per parecchi istanti finchè Atlante disse: "Siamo giunti alla meta. Ora è compito tuo. Puoi farcela, Paralume Sbeccato. Io sarò qui, subito dietro di te."
Così il Paralume Sbeccato si fece avanti, mise il piedistallo proprio sull'orlo dell'abisso e con tutta la forza che aveva in corpo scagliò in mare il medaglione maledetto.
Appena ebbe toccato l'acqua dal medaglione uscì una luce oscura che andò sempre più delineandosi nella forma ossuta della vecchia megera. Con i suoi occhi rossi e la bocca distorta dalla rabbia puntò lo sguardo malefico sul nostro piccolo eroe e gridò :"Tu, tu hai osato farti beffe di me, spezzando la maledizione del viaggiatore. Ora dovrai soffrire al posto suo, ma cento mille volte di più! Io ti troverò, ovunque ti nasconderai, e ti ucciderò con le mie stesse mani!"
E la visione scomparve.
I due amici, affranti e sollevati al contempo, si abbracciarono forte e si riavviarono verso casa, con il cuore gonfio di gioia e tristezza insieme.
Quando dopo altri 3 giorni di cammino ritornarono a casa però una lieta visione apparve innanzi ai loro occhi: la magione pareva rifiorita, lo steccato era stato riparato, la siepe incolta era stata tagliata e un profumo di gelsomino fresco s'espandeva tutto intorno. E quale stupore li colse una volta varcata la soglia! Ogni oggetto che nella lotta aveva ricevuto danni era stato riparato tanto bene da sembrare nuovo e tutti sorridevano felici.
Quando i compagni si accorsero della loro presenza in casa esplosero in un grido di giubilo : "Urrà per i nostri salvatori! Urrà per i nostri buoni amici!"
Ma presto il loro riso si spense perchè il viso di Paralume Sbeccato e Atlante tradiva una preoccupazione sconosciuta. Si sedettero intorno a loro e li pregarono di riferire cosa fosse accaduto. Così Atlante, mentre Paralume restava con la testa china, raccontò cosa avevano vissuto in quella avventura, come avessero distrutto il medaglione e della nuova promessa di sventura da parte della vetusta megera.
Già il silenzio si faceva greve di tristezza quando apparve d'un tratto la figura del viaggiatore: sembrava più giovane e snello di quando l'avevano veduto la prima volta e aveva in viso due occhi buoni tanto da essere difficile paragonarlo al pellegrino giunto solo qualche giorno prima nella loro dimora. Il forestiero si fece avanti e disse : "Ho sentito il vostro racconto. A voi io debbo la mia vita e la mia rinnovata libertà. Così come ho sistemato i danni compiuti dalle mie incontrollate mani, sistemerò anche questa faccenda. Ve lo prometto. Vieni, Paralume Sbeccato. Non avere paura. Vieni con me."
Paralume Sbeccato, incoraggiato dall'aura di bontà che si espandeva dal pellegrino, si allontanò con lui e per qualche ora nessuno li vide, nè ebbe loro notizie.
Quando arrivò sera finalmente un rumore giunse dall'alto delle scale. I due amici ridevano lieti scendendo gli scalini baldanzosi. Eppure c'era qualcosa di strano in Paralume Sbeccato, qualcosa che gli amici non riuscirono subito a cogliere.
Ma certo! Non era più Sbeccato! Il suo danno di tanti anni prima era stato riparato dalle sapienti mani del ramingo artigiano.
Quale miracolo! La felicità di tutti era alle stelle. Per l'intera serata, fino a notte fonda, la casa fu un'esplosione di risa, di gioia, di allegria. Persino Lei uscì dalla Sua teca e si unì alla festa per celebrare la fine di quella brutta avventura.
La mattina, mentre ancora tutti dormivano dopo i festeggiamenti notturni, una vecchia sdentata dal malefico ghigno entrò di soppiatto nella casa e cercò e cercò, al pianoterra, in soffitta, in cantina, frugò fra gli oggetti impolverati fino a scorticarsi tutte le dita, ma invano.
Infine, scornata, uscì dalla casa e dal viottolo Paralume Riparato e i suoi amici la udirono imprecare : "Ma ti troverò, sì, ti troverò, Paralume Sbeccato! Non mi darò pace finchè non ti avrò distrutto e mi sarò vendicata del tuo insulso buon cuore!"
Tutti risero a crepapelle insieme al viaggiatore che era uscito dal suo nascondiglio e cantando a squarciagola la loro felicità decisero di non separarsi mai più.
E vissero tutti felici e contenti per altri 150 anni nella foresta incantata.

lunedì 20 dicembre 2010

Bruti e canoscenza



Sono stanca degli arrivisti, dei falsi, di quelli che "Dammi il numero così ci sentiamo" mentre il sottotitolo recita "Ci vediamo così tento di sbirciare qualcos'altro"; sono stanca dell'ipocrisia, della mancanza di gentilezza, di rispetto e una minima sensibilità che dovrebbe essere garantita dai sindacati per legge.
Sono stanca dei pavidi, di coloro che non hanno il coraggio di agire e dunque vanno in giro sfanfaronando che tutti sono codardi, che la "sincerità è roba da bambini", che i matrimoni sono una finzione fallimentare ma poi ci si rifugiano dentro rubando a destra e a manca l'altrui libertà quando gli capita l'occasione giusta.  
Sono stanca dei film a poco prezzo, di quelli che mi guardano il sedere, di quelli che pensano che faccio carriera solo perchè mi trastullo con qualcuno di importante: vi informo che non tutti sono interessati alle mie grazie e che soprattutto la sottoscritta non è interessata a questo genere di mercificazioni.
Se dovevo usare quest'arma l'avrei sfruttata per sposare un petroliere o un proprietario di una miniera di diamanti, non per fare un concerto da quattro soldi che tra l'altro nessuno mi potrebbe invidiare dato che nessuno mai verrà a sentirlo. Sono stanca del "patinato grigiore", dell'umanità insulsa, della noia spacciata per serenità.
La verità è che tutti sono infelici e si drogano di normalità per non sentirsi sull'orlo del baratro.
Ma buttatevi, Dio santo! Il peggio che vi succederà sarà sbucciarvi le ginocchia e sentire bruciare per un po' la pelle escoriata. Ma sarete vivi, VIVI!
Chi se lo ricorda più il significato di questa parola?
Ebbene, preferisco bruciare la mia vita, consumarla come una candela, veloce veloce, senza lasciare nulla di intentato, e morire giovane, se questo è il prezzo da pagare.
Io non la voglio una lunga vita noiosa appesa ai fili del bucato.
Preferisco sentire.
E fanculo il cinismo: i cinici sono solo dei codardi che non hanno più il coraggio di sognare e cercano di convincere gli altri che la loro è una vera alta filosofia mentre non è nient'altro che vuoto travestito da pieno, per mezzo di carta velina che si strappa al primo urto.
La storia la fanno gli uomini e le donne che credono in qualcosa e lottano per quel qualcosa, magari sbagliando, magari rompendosi i denti e sanguinando, ma rimettendosi in sesto il giono dopo, e ricominciando, con pazienza, con speranza, con paura.
Perchè si ha sempre paura di rialzarsi e ripartire e magari inciampare un'altra volta, fracassandosi i denti ancora sani o le braccia, o qualche costola. Ma se non lo si facesse, cosa ci resterebbe da salvare? Se l'uomo si arrendesse alla propria ignavia, cosa gli rimarrebbe da contemplare?
Non un cielo stellato, nè un prato in primavera, ma solo la propria cornea bruciata dal tempo tracorso invano.
Dunque a tutti coloro che sostengono che "tanto non vale la pena" consiglio di continuare a credere che la terra sia piatta. Le rivoluzioni - materiali e filosofiche - le compiono i fanatici sostenitori di un'idea.
A tutti gli altri suggerisco di buttare il mappamondo e di non valicare mai le colonne d'Ercole.
Al di là di esse, per quel che loro ne sanno, potrebbe ancora ergersi la montagna del Purgatorio.

Francesca




Corbellerie notturne



E' inutile.
Questa domenica non vuole finire.
Sono le 23 e 34, il mio cuore è in subbuglio e il cervello in fiamme.
Cerco la solitudine e vi affogo, come in una marea fantasma che tutti i ricordi porta via con sè.
Se fossi a Milano mi tufferei nella nebbia.
Quasi rimpiango i vetri opachi della mia vecchia casa al primo piano, i suoni ormai familiari della strada, il traballante ondeggiare sulle rotaie del tram semideserto, il lampeggiare delle luci del camion dei rifiuti,  rumore di vetri rotti, di passi svelti sull'asfalto bagnato, un vociare confuso, il brillìo di una sigaretta in lontananza accesa per noia o abitudine.
Ed io che restavo lì in silenzio alla finestra, con i piedi poggiati su grandi mattonelle bianche mentre una musica ben nota lambiva le mie orecchie - quasi sempre il 2° mov del piano concerto di Ravel suonato da Michelangeli o le variazioni Goldberg di Gould, versione tardiva.
Era come trovarsi su di una barca con il fondo trasparente, sperduta nel mare: io potevo vedere ciò che accadeva alle creature negli abissi ma ne ero separata, e soffrivo la solitudine del cosmonauta che abbraccia la terra con un singolo sguardo ma non può toccare chi ama, o chi vorrebbe amare se solo gli fosse concessa un'occasione.
Io sono inchiodata al fondo di quella nave e le vele portano il mio dolore con sè, ovunque il Vento lo desideri, ovunque della mia mano vi sia bisogno, per essere salvati dalla tempesta o dalla fame o dalla solitudine.
Ma ciò che io faccio non è per me. Nulla del mio operato mi appartiene.
Esso è frutto di una Volontà che non riesco a penetrare perchè Essa stessa mi penetra a Suo piacimento lasciandomi all'oscuro di ogni ragione, ed io vivo abbandonata nelle Sue braccia, in un soliloquio perenne verso i miei simili che nessuno può udire, all'infuori di me e della voce del destino.
Su una stella cammino e mi muovo e a chi par di toccarmi per un singolo istante Dio concede l'illusione del possesso, l'ebbrezza della proprietà.
Ma io sono sempre qui e altrove, girandola di vite infinite in cui ciascuna è specchio e prisma della prossima ventura.

Buonanotte.
Almeno, speriamo.
Francesca

domenica 19 dicembre 2010

Buonanotte





Una notte carica di mille dolcezze per tutti voi.
Francesca

Da un amico



Questa che potrete leggere di seguito è la poesia che mi è stata dedicata da un caro amico. Sono certa che vi emozionerà così come ha emozionato me.
Caro Luca,
commossa, lusingata e sorpresa ti dico "Grazie", come se fossi sorella del tuo stesso cuore.
Francesca

Plenilunio

¯ Ti vedo bambina,
conchiglia preziosa vellutata lucente,
sulla morbida sabbia aspettare
della marea le carezze soavi,
colorata d’azzurro.

¯ Sola, immobile,
e il tuo violino, stretto a scaldarti dal soffio notturno.
Sola, in silenzio,
e i tuoi quattro raggi d’argento, colmi di note.
Sola, assorta,
e il delicato sussurro di una notte d’estate.

¯ Hai saputo ascoltare, Francesca,
quel mormorio d’acque lievi.
Hai saputo capire, Francesca,
l’antico idioma del mare che irrora la terra.
L’hai lasciata parlare, Francesca,
l’onda, dolce alla riva.

¯ Narrava di te, quella calda marea.
Narrava a te, ancora bambina, della donna che sei diventata.
Narrava come fosse una mamma e cantava,
componendo la tua bella canzone.

¯ Dei mari lontani dei destini dell’uomo
con un ultimo bacio, quella notte una goccia salmastra
ti ha instillato il segreto,
sulle tue labbra dischiuse, senza svelarlo.

¯ Quel segreto, ora lo sai, eri tu e l’anima tua che danza e seduce.
Quel segreto eri tu e la fiorita tua vita, fertile odorosa gentile.
Quel segreto eri tu, l’arte che doni e la gioia.

¯ E il mare ancora culla e accarezza,
al chiaror della luna, una bambina,
conchiglia preziosa vellutata lucente,
e il suo violino, colmo per sempre di note,
su una spiaggia colorata d’azzurro.

         per Francesca
                                                        Luca Astolfoni Fossi

            Roma, 15 dicembre 2010

Salvezza



Avrei dovuto crescere in una terra più fertile e meno ostile;
avrei dovuto ricevere il calore dei raggi e l'amore di mani feconde.
Avrei dovuto prevedere le brutte stagioni e mettermi al riparo,
coprire le mie foglie ed i germogli prima di vedere il gelo divorarli
come un mostro dai troppi occhi.
Avrei dovuto fare della ritrosia la mia unica voce e invece...
Invece ho esposto il corpo nudo agli elementi
ed ora la neve gelata sferza la mia pelle tiepida,
si accumula sulle spalle, nell'incavo dei seni,
sulla morbida tenerezza del ventre.
E non trovo scampo nè riposo nel notturno chiarore,
il pensiero è palude torbida e immensa,
il conforto dell'uomo un'illusione.
Giunge allora da lontano, da regioni misteriose, d'improvviso,
un vento tiepido a sorreggere i miei giorni,
una brezza leggera che solleva le foglie d'autunno
e le posa sulla mia gelata nudità.
Il suolo su cui ho adagiato la diafana schiena si intiepidisce
e un salice, prodigo di gentilezza,
muta la sua chioma in mio favore,
intenerito da occhi muti che cantano senza dire.
Una voce nell'aria parla una lingua antica
ed il suo motto fa risorgere il calore nelle vene.
Il fiore strappato dall'uomo è salvato dalla Terra a cui appartiene da sempre,
per sempre.

Francesca

giovedì 16 dicembre 2010

Quasar vascolare




Oggi mi ha invaso l'alba,
quella lucente chiarezza interiore che sopraggiunge
l'attimo prima di morire e poi scompare, forse per sempre.
Eppure non sono trapassata perchè chiaramente i miei sensi sono vigili
e la stanchezza che grava sul mio corpo è misura del peso della vita,
in qualche modo.
Tuttavia conservo la memoria fotografica di quell'attimo,
come se fosse stata impressa sul mio corpo tramite un lampo, una follìa,
una ossuta chiaroveggenza.
Trapassando di era in era l'anima si compiace del suo conquistato gusto per la bellezza, probabilmente.
E di tanto in tanto ne fornisce un assaggio, attraverso la momentanea materializzazione di misteriosi buchi neri in cui è condensato il significato quantico dell'esistere, quella forma di passività attiva che è contemplata da se stessa per comprendere l'infinità, scavalcandola.
Domani nevica, così dicono.
Sarà un'occasione per tornare sulla terra.

Francesca

mercoledì 15 dicembre 2010

Il ritorno dei morti viventi


Dovrei buttare là delle riflessioni a proposito del B-day. Ma non lo farò.
Permango delle mie convinzioni.
Berlusconi è un cadavere che cammina circondato da una équipe che cerca di tenerlo in vita il più a lungo possibile per arraffare quanto rimane dal fondo della borsa.
Ma prima o poi qualcuno si accorgerà che il cuore non gli batte in petto e si sbarazzerà di lui in due secondi per darsi alla pazza gioia, stile "Weekend con il morto", ricordate? 
Il problema vero non è più lui ma l'accozzaglia di persone che lui ha nutrito del suo stesso sangue, figli putativi che ci metteranno un attimo a trasformarsi in Edipo e far fuori l'oligarca ormai impotente. Ciò che resterà - ahimè - sarà il malcostume generato da anni di mal governo e mala società, un'eredità politica che si chiama Carfagna, Cicchitto, Tremonti, Gelmini, un'eredità che - cieca di fronte a qualsiasi responsabilità e pericolo - continuerà a perpetrare i crimini con cui è stata cresciuta, corrompendo, eludendo, rubando, facendo dell'imbroglio la propria bandiera privata e della propaganda quella pubblica.
Ma c'è una grossa differenza tra il nostro Laio e i suoi Edipi. Laio-B. è cresciuto - economicamente e politicamente - negli anni '80 e '90, anni in cui il mondo e la società ancora permettevano la ruberia perchè la cassaforte "Italia" era prodiga di doni e poteva sostenere mani oneste e non.
Le cose ora stanno assai diversamente. Il barile è vuoto e il popolo ha fame.
Come lo spiegherà Maria Stella agli studenti inferociti che invece delle lezioni di storia dell'arte avranno un sarto che gli spiegherà come cucirsi gli abiti, dato che ormai non ci sono più i soldi per comprarseli?
E Tremonti come risponderà ad un operaio di 50 anni con moglie e 3 figli a carico appena licenziato che grida "Abbiamo fame! Non c'è nemmeno più il pane"? Gli dirà "Dategli le brioches", parafrasando una donna vissuta assai prima di lui e che forse - nonostante la giovane età - di politica ne sapeva più di lui?
Facesse attenzione Tremonti - però - a non fare la stessa fine della cara Maria Antonietta o si ritroverà un giorno o l'altro a non aver più bisogno di occhiali!
Lo scherzo è metafora della mia preoccupazione.
Ho come la sensazione in questi giorni di essere seduta su di un barile di polvere da sparo. La miccia è accesa e cammina lesta, solo che io non sono in grado di vederla, è nascosta ai miei occhi, e non so indovinare quanto ancora le resti prima di giungere a destinazione.
L'Italia è così. Sull'orlo di un cambiamento abissale, uno di quelli di cui parleranno i libri di storia futuri (se ancora esisteranno!), un cambiamento in cui ognuno sarà coinvolto e non potrà fare finta di continuare a vivere la propria vita indifferente. Dovremo farci i conti tutti, nostro malgrado.
E sono certa che - alla lunga - questo sarà un bene.
Ma alla lunga, mi preme sottolineare.
Non voglio certo fare la Cassandra della situazione, anche se in realtà la poverina tanto invisa al prossimo aveva sempre ragione, e questo vorrà pur dire qualcosa!
Ma non posso tacere le sensazioni che mi pervadono come un'onda da qualche tempo e diventano sempre più grandi, ogni giorno che passa.
Non ho certo la capacità di profetizzare cosa accadrà e nemmeno mi interessa. Di certo so che siamo ad una svolta che cambierà la vita di ciascuno di noi, per sempre.
Io sono qui, serena, in attesa.
Nel frattempo faccio scorta d'acqua e di fagioli in scatola!!!!!!!
Eheheheheheheheheheheheh....................................................
Un abbraccio a tutti i sopravviventi

Francesca

lunedì 13 dicembre 2010

IL RE E' MORTO

 


Sapete bene come non sia mia abitudine fare "copia-incolla" di altri articoli comparsi sul web.
In questo caso - come in pochi altri, e sempre per la medesima ragione guarda caso - farò un'eccezione.
Ne vale la pena.
Divulgare le notizie è compito di una società libera ed informata sui fatti.
Un ringraziamento particolare a Pietro Salvato, autore dell'articolo pubblicato su www.giornalettismo.com
Buona lettura.

Il Pdl in piazza per Silvio ma è flop, e lui da’ forfait

Un po’ in tutta Italia, Gazebo in sostegno per il premier, ma poca gente è apparsa interessata. Intanto, i fedelissimi di Berlusconi continuano a dirsi certi della fiducia alla Camera martedì


Berlusconi malato Il Pdl in piazza per Silvio ma è flop, e lui da forfaitUn tempo venivano annunciate manifestazioni oceaniche, anche quando non lo erano. Le telecamere dei “fidi” tg e i taccuini di molti giornali parlavano sempre di gran ressa. Oggi, vuoi perché l’appeal del premier, come dimostrano tutti i sondaggi, è caduto a picco, vuoi per lo shopping in previsione dell’imminente Natale, i “Gazebo per Silvio” sono andati pressoché deserti. Pochi, i soliti aficionados, a sostare davanti agli stand. Intanto, proseguono le ultime “trattative” per la campagna acquisti del voto dei parlamentari ancora incerti sul da farsi. Martedì si annuncia una giornata campale.





la russa gasparri Il Pdl in piazza per Silvio ma è flop, e lui da forfait

UNA MILANO DISTRATTA – Pochi, molto pochi, rispetto pure alle previsioni degli stessi organizzatori, gli italiani disposti ad accorrere ai Gazebo allestiti in molte piazze italiane, in sostegno del premier e dell’operato del “Governo del fare”. Nella centralissima Piazza Duomo a Milano si sono contati non più di un centinaio di fedelissimi. Niente a che vedere con la folla accorsa per analoghe altre manifestazioni. Un po’ in tutta Italia si segnalano flop dell’iniziativa, questo proprio alla vigilia della fiducia prevista in Parlamento martedì prossimo. Eppure, i “Ras” berlusconiani sono accorsi in massa. A Milano, sotto il palco allestito c’erano: il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla e decine di esponenti del partito, come il sindaco di Milano Letizia Moratti, il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi e i sottosegretari Laura Ravetto e Daniela Santanche’. Insomma, tutto il “politburo” pidiellino era mobilitato. Molto meno i fan del premier. Un centinaio, non di più. Durante l’intervento del ministro La Russa si e’ creato subbuglio tra il pubblico del Pdl per la presenza di un presunto provocatore. Per disturbare, visto l’eseguo numero di aficionados, oggi evidentemente ne basta solo uno. Il che la dice lunga sul morale delle truppe cammellate berlusconiane. Secondo le agenzie non c’è stato “Nessun grido di contestazione, ma qualche comportamento non gradito da partecipanti all’iniziativa ha fatto scattare l’ intervento delle forze dell’ordine per allontanare l’ indesiderato. E’ stato lo stesso La Russa, interrompendo il suo discorso, a rivolgersi al presunto provocatore con epiteti non gentili. ‘L’Italia e’ sempre gravida – ha detto – di un cretino in ogni sua piazza”. A Piazza Duomo, oggi, di sicuro.

an1 Il Pdl in piazza per Silvio ma è flop, e lui da forfaitSILVIO INTANTO DA FORFAIT - Berlusconi, a sua volta, era atteso dalla consueta telefonata domenicale ad una riunione di “seniores” (e questa già è una novità) del Pdl. Una di quelle telefonate in cui solo lui parla, afferma e proclama e tutti gli altri stanno muti e silenti ad ascoltare ed applaudire. Gli organizzatori, che ieri avevano annunciato il collegamento telefonico con il premier, hanno spiegato che Berlusconi non è potuto intervenire perché’ impegnato in una riunione ad Arcore. Sembra per allestire le ultime mosse in vista della fiducia parlamentare di martedì e – secondo alcune voci – nell’opera di convincimento degli incerti, specie nel drappello degli ex finiani.  All’incontro, cui non ha partecipato neanche il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini che pure aveva fatto annunciare la sua presenza. Evidentemente sarà stata occupata a ricercare il suo “statone” per rispondere all’invito-sfida lanciatole ieri, per l’ennesima volta, dal segretario del Pd Pierluigi Bersani… sono intervenuti, tra gli altri, il presidente della Provincia e coordinatore regionale del Pdl, Guido Podesta’, e il sottosegretario alle Infrastrutture, Mario Mantovani.


larussa Il Pdl in piazza per Silvio ma è flop, e lui da forfait

CHIAMATA ALLE ARMI - Dopo il blitz a sorpresa di ieri a Milano, a quanto pare, Berlusconi trascorrerà il resto della giornata a Villa San Martino ad Arcore, per poi fare ritorno a Roma in serata dove, a Palazzo Grazioli, e’ in programma un incontro con i senatori del partito. Bisogna serrare i ranghi. Come Napoleone a Waterloo, si direbbe. Cosa che, almeno sulle agenzie sta avvenendo, dove è tutto un fiorire di dichiarazioni di stima e fiducia verso il premier, e di convinzione di superare lo scoglio parlamentare della fiducia. Tra i più loquaci, oggi, si segnalano oltre a La Russa, Maurizio Gasparri, Daniele Capezzone, Fabrizio Cicchitto, Daniela Santanché, il ministro Sandro Bondi. Sembra di guardare un presepe, insomma. Tutti a dire che: “Noi siamo qui per andare avanti a cambiare il Paese”. Fino a martedì, forse.

domenica 12 dicembre 2010

Retro style


Dopo aver "restaurato" il design del mio blog a favore spudorato del Natale, ora dovrei tentare di riassestare il mio apparato digerente malandato a causa dei recenti bagordi. Forse se facessi un bagno nell'Alka Selzer sarebbe d'aiuto. 
I torroni e il pandoro mi sono stati fatali dopo la pizza con salsiccia.
E le 20 borse dell'acqua calda che ho continuato a rifarmi dalle 2 del pomeriggio non sono state affatto di aiuto, in effetti.
Stasera per cena tisana, salvia e limone.
Dio, che tristezza!
Ma perchè le cose belle della vita si pagano sempre così care???
Di fronte a tanta amara verità esistenziale mi chiedo come sarebbe mai possibile ripagare un'eventuale vincita al superenalotto, per la legge karmica dell'equilibrio. Costruendo ospedali in Africa, adottando una milionata di bambini delle favelas brasiliane o salvando un'intera generazione di foche monache e tigri della Malesia?    Domanda che - per mia fortuna - non dovrò mai pormi.
Qualcuno obietterà: per fortuna?
Ebbene sì, fortuna. Si è mai sentito parlare nella storia della civiltà moderna di un artista ricco?
Sarebbe mai concepibile un poeta che arrivasse a destinazione salmodiando su una Bugatti?  Credo che potrebbe essere facilmente definito come un paradosso in termini.
E poi, alla fin fine, penso che il denaro sia - soprattutto in questo momento della storia - sopravvalutato assai.
E' ben vero che più di una volta mi è capitato di pronunciare la frase : "si piange meglio a bordo piscina che in un monolocale". Ma le lacrime hanno poi un sapore diverso?
Badiamo bene, non sto facendo l'apologia idiota della povertà. E di certo non cerco di indurre il mio prossimo a scegliere tra "Miseria e nobiltà", parafrasando un meraviglioso commediografo vissuto ben prima di me.
La povertà e la miseria economica inducono la miseria esistenziale dato che l'essere umano non ha in tali condizioni altra priorità che quella della sopravvivenza ed in nome di essa è in grado di commettere atroci delitti, soprattutto nei riguardi della propria umanità e altezza spirituale.
Ciò che mi preme non far passare sotto silenzio qui è la consapevolezza del fatto che i miliardi non hanno mai reso la felicità che si può respirare in un clima di affetti profondi, amore per il proprio lavoro e capacità di esprimersi al di là di qualunque barriera sociale, linguistica e politica.
In sintesi, il denaro non è in grado di comprare la libertà dell'Essere e chi sostiene il contrario lo fa per convenienza. 
Per ciò diffido del "regime" (e perdonatemi, ma non potrei proprio definirlo diversamente) in cui ci siamo ritrovati a crescere negli ultimi 20 anni. Crescere come età, almeno. Non so se siamo riusciti a farlo anche in termini di società civile votata all'uguaglianza dei diritti e delle possibilità, ma ne dubito.
La rincorsa maniacale e spudorata ad una ricchezza tutta esteriore alla fin fine non ci ha reso più completi, nè più felici, neppure laddove essa si sia conclusa con successo.
Pensate ai bambini. Un bambino non si cura se indossa un maglione di Calvin Klein o della nonna, anzi semmai gli sarà più caro quello regalatogli dalle mani laboriose di qualcuno a lui vicino. Un bambino non è più o meno felice se viene accompagnato a scuola con il Porsche Cayenne o la Fiat 600. E non sorriderà di più a Cortina d'Ampezzo che a Pescasseroli durante le vacanze di Natale.
Viceversa, lo vedrete confortato se gli terrete la mano nei giorni in cui è malato e non vuole essere lasciato solo, sarete in grado di vederlo sorridere mentre affonda fino alla vita nella neve fresca e potrete certamente osservare la sua emozione allo scadere della mezzanotte della Vigilia quando finalmente potrà buttarsi a scartare quei pacchi decorati con dedizioni dalle vostre mani premurose. E sarà felice del calore del vostro Amore, un Amore che non ha prezzo sui cataloghi on line e non si trova in vendita sugli scaffali del supermercato.
Qualcuno obietterà che questi bambini non esistono più, che i bambini di oggi pretendono i Gormiti o le Barbie per essere "soddisfatti". Può essere. E può essere solo perchè questi sono figli cresciuti in un'epoca dedita al "nulla" a scapito della sostanza.
Tuttavia esistono altri bambini che sono cresciuti diversamente e che ancora conservano la memoria di ciò che ha davvero valore per la vita e cosa no.
Quei bambini siamo noi, adulti sciocchi a volte e superficiali, aguzzini del prossimo, sempre pronti ad azzannarsi a vicenda per un parcheggio più vicino, uno stipendio di 10 euro più alto e il proprio nome in prima serata in qualche reality tv.
Tuttavia anche quegli uomini e quelle donne un giorno di tanti anni fa hanno aspettato Babbo Natale, forse senza dormire, si sono augurati gioie semplici che durano nel tempo e hanno sperato nel domani con una fiducia che solo l'infanzia sa rendere nella giusta Luce.
Quei bambini sono cresciuti ma non sono morti. Sono lì che dormono, da qualche parte, in attesa.
In attesa forse di una mano tesa, di un sorriso fragile o di un fiocco di neve da ingoiare con la bocca spalancata.
E quindi per celebrare questo prodigio immenso che è l'infanzia perenne protetta dentro di noi vi lascio con una frase a me cara de "Il piccolo principe", nella speranza che vi tenga caldo durante le notti in cui voi, uomini e donne di ogni età, potreste sentirvi soli e impauriti:

"Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano."

Grazie Antoine.
Le grandi verità hanno sempre bisogno di poche parole.
Buon Natale.

Francesca


sabato 11 dicembre 2010

Chi la fa, l'aspetti.



Dopo due giorni di lotta impari con la tecnologia sono tornata.
Stanca e felice dopo essermi letteralmente "svuotata" a favore del pubblico.
Sarà per questo che scrivere all'alba di un concerto mi sembra sempre tanto difficile.
E' come se ogni volta dovessi in qualche modo riappropriarmi della grammatica della vita, delle sue regole quotidiane, del suo folle e inesauribile avvicendarsi. In certi momenti invece ho come la percezione che il mio mondo interiore sia fermo, saturo di tutto ciò che è mio potere prendere ed elargire. Un pedone che gira a vuoto su una scacchiera dopo lo scacco matto.
Ci vuole tempo, per riacchiappare la vita in fuga, ci vuole una "normalità" fatta di infantili giochi e monellerie, di sabati pomeriggi all'Ikea e a rimpinzarsi di Ricciarelli ricoperti di cioccolato fondente, in barba alle allergie e al mal di testa inevitabilmente conseguente. Ci vogliono cornici di legno ricoperte di improbabili colori acrilici e vernici di finitura, e anche portacandele fatti con la pasta sintentica, modellata con le mani, come quando si era bambini e tutto era "proibito".
Da adulti ci si gode molto meglio l'infanzia, in verità. Qualcuno ci ha fatto caso? 
Almeno, per me funziona così.
Chi potrà infatti impedirmi domani di passare l'intero pomeriggio davanti a "Mamma, ho perso l'aereo", o a fare biscottini allo zenzero? Chi mai potrà alzare la voce o tacere con rimprovero se sporcherò casa per addobbare il mio finto abete come l'albero della cuccagna, scartando uno Zanzibar alla nocciola ogni due campanelle appese? Chi ancora avrà l'autorità di farmi sentire piccola, estranea e fuor di posto mentre darò luce a mille fili che si sparpaglieranno intorno a rami posticci carichi di ogni ben di Dio?
La risposta è : nessuno. Non mi sentirò in colpa domani della gioia, nè del pane, nè dell'aver studiato un'ora soltanto per dare alla vita lo spazio che merita per essere vissuta. E mi saprò anche godere sfrontatamente il ricordo dell'appena passato concerto, il senso profondo avvertito in ogni singola nota, quella vertigine che l'indomani è causa di inevitabile silenzio.
Dopo aver rivoltato la propria anima a favore del prossimo bisogna ritornare alle origini, assaggiare il brodo primordiale dell'esistenza, bere dal biberon del Tempo, scrivere una lettera a Babbo Natale, diplomarsi, fare scelte sbagliate, sbagliate, ancora sbagliate e poi una giusta e finalmente risvegliarsi nel presente.
Ci si ritrova sempre, alla fine.
Ma è una lunga via, quella che dal palco riconduce a casa.

Buonanotte a tutte le renne di Rovaniemi
Francesca

giovedì 9 dicembre 2010

Leggerezza



Quando si avvicina il Natale spunta sempre fuori l'abitudine di ascoltare a ripetizione "Somewhere over the rainbow" nella versione di Keith Jarrett, concerto alla Scala di Milano. Per ore e ore mi lascio trascinare dal suo dolcissimo rollìo e a forza di reiterati ascolti mi son persino divenuti cari i colpi di tosse del pubblico lombardo, gli scricchiolìi e la commossa partecipazione dell'applauso finale, orpelli che per il mio orecchio fanno ormai parte indissolubile del brano, quasi come già accadde in passato con il concerto di Ravel eseguito da Michelangeli con la direzione di Gracis.
La mattinata si dipana quieta.
La stampante getta inchiostro che repentinamente si trasforma in pentagrammi e note.  Oggi, pur sforzandomi, non riuscirei ad essere triste.
Riesco solo a pensare ai piatti da decorare come regalo natalizio, ai portacandela da costruire con la pasta sintetica, ai colori acrilici, alla foglia d'oro.
E' da qualche anno che ho perso l'abitudine di comprare i regali per Natale.
Lo trovo così impersonale, così freddo.
Preferisco quindi partire con un certo anticipo e darmi da fare con il bricolage (e anche la cucina, perchè no?).
Certo, alla fine i prodotti non saranno di una fattura eccellente, ma è quello che importa?
O è più importante che la persona che riceve il dono sappia quanta energia io abbia dedicato per preparare quell'oggetto? Non sono l'amore e il tempo che ciascuno impiega per l'altro ad avere valore?
In una società dedita al superfluo, quale valore più grande della propria manualità e del proprio impegno al servizio dell'altro possono esistere?
Qualcuno mi ha fatto notare che forse i miei sono reminiscenze di lavoretti delle elementari.
Se anche ciò fosse vero, avrebbe poca importanza.
Agli amici a Natale io regalo il Tempo e un pezzetto di me, di ciò che amo fare.
Se a loro interessasse altro probabilmente non sarebbero miei amici.
N'est pas??????

Buona attesa natalizia
Francesca

sabato 4 dicembre 2010

Alla memoria di Donato e del suo libro magico


Caro nonno,
è stato breve il nostro incontro.
Per poco ho goduto della tua benevolenza, del calore dei tuoi abbracci.
Eppure essi sono rimasti tatuati nel mio cuore,
intriso a pieno della pace che mi dava lo stringerti la mano,
bambina.
Ricordo il tuo bastone e i tuoi sforzi per portarmi al mare,
a lanciare sassi all'oscuro e infinito blu,
arrabbiata forse per la solitudine che gravava su di me già allora.
E tu ti facevi piccino, pazientemente seduto sullo scoglio ad aspettare
che io esaurissi l'infantile energia prima di riportarmi a casa.
Anni dopo averti perduto, scovai il tuo libro di poesie e racconti, 
fra cui - più cara di ogni altra - è sempre rimasta "La cavalla storna" di Pascoli.
Forse perchè ero ancora piccola e le rime mi facevano un effetto particolare, chissà.
Caro Donato, saresti felice e fiero di essere mio nonno, ora.
Avrei da raccontarti molte cose e il mio cuore non sarebbe mai sazio di darti quello
che nessun altro ha voluto e che rimane dunque di mia proprietà,
mio malgrado.
Ma chissà, forse queste cose le sapevi già allora,
quando ancora tra noi non v'erano
che il calore delle mani e una canzone prima di dormire.
Dunque sii felice e sorridi dal posto in cui ti trovi
quando dalla spiaggia rivolgerò un pensiero all'infinito mare
che per sempre mi ricorderà il tuo viso e il tuo incolmabile affetto
per me.



LA CAVALLA STORNA 

Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi ancora,
e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l'uragano,
tu dài retta alla sua piccola mano.
Tu ch'hai nel cuore la marina brulla,
tu dài retta alla sua voce fanciulla".
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l'amavi forte!
Con lui c'eri tu sola e la sua morte.
O nata in selve tra l'ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l'agonia..."
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l'eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole".
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l'abbracciò su la criniera.
"O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
A me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise:
esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t'insegni, come".
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l'unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome... Sonò alto un nitrito.

Giovanni Pascoli











Prospettive


C.D. Friedrich - "Donna alla finestra"

Stamattina mi sono svegliata pensando alla proprietà.
Cosa esiste dietro al significato di "possedere" qualcosa o qualcuno?
Di certo l'illusione di tenere per sè un altro essere umano è una trasposizione chiara ed efficace delle nostre più profonde insicurezze, un tentativo goffo e confuso di "mettere in cassaforte" l'affetto o la vicinanza di persone che riteniamo importanti per paura che prendano il volo e ci lascino senza neanche occhi per piangere.
Ma non esistono casseforti sufficientemente capienti e solide per quel genere di possesso.
Per questo non credo nel matrimonio, nei "contratti", nelle promesse eterne.
Io non posso sapere come mi sentirò domani, come posso prevedere come mi sentirò fra 20 anni?
L'unica cosa che un essere umano può promettere è che - nonostante la fatica e i sacrifici - non smetterà di lottare, che si impegnerà verso l'altro con tutto se stesso, che non cederà al facile impulso di aprire la porta e scappare via. Ma a parte questo, nessuno può prevedere l'esito di un tale impegno.
Dobbiamo arrenderci all'evidenza che gli affetti sono fragili come vetro e che è necessario trattarli con cura per evitare che si infrangano miseramente. Forse - e dico forse - partendo da questo presupposto si farebbe più attenzione e si eviterebbe di muoversi all'interno dei rapporti umani come elefanti in una cristalleria.
In moltissime occasioni mi sono accorta di essere stata ferita dai miei simili a causa di quella che chiamiamo "disattenzione": ma è poi men grave la disattenzione della scaltra ruberìa?
Nei confronti di un ladro cosciente posso nutrire la speranza ch'egli si ravveda un giorno, se davvero crederà ne valga la pena. Ma nei riguardi di un cleptomane sonnambulo, che speranze si possono avere?
E quanti sonnambuli ho incontrato sulla mia via! Persone talmente intrise di sonno da non rendersi neppure conto se camminavano nella direzione di casa o in quella opposta. E si perdevano dietro a mille giustificazioni solo perchè non potevano fermarsi a chiedere indicazioni ad un passante o consultare una cartina qualunque.
In questo la vita sembra davvero essere un onirico labirinto popolato da folletti spaventati e reticenti.
Non ho idea di dove come e quando io mi sia svegliata.
Forse - in verità - non ho mai saputo dormire.
E questo mi è costato molto in termini di normalità e giudizio.
Tuttavia, ciò che si dà alla Vita prima o poi la Vita lo rende.
Ora posseggo un letto tutto mio che viaggia al di là delle regole dello spazio-tempo comune, conservo la mia cassaforte ben spalancata su di uno sgabello colorato per rammentarmi la preziosa fugacità di ogni singolo attimo intriso d'umanità e ho appeso una cornice vuota alle pareti trasparenti della stanza, per non correre il rischio di intorpidire la mia fantasia e continuare ad immaginare il "Tutto" al di là del nulla apparente.

Buon sabato a tutti, di cuore.
Francesca

venerdì 3 dicembre 2010

Eden di novembre

A. Durer - "Adamo ed Eva"


A tentoni mi barcameno in questo turbinìo atmosferico autunnale, come un gondoliere inesperto tra i canali nebbiosi di Venezia. Sento lo sciabordìo delle acque carezzare l'anima lievemente, senza far troppo rumore o recar danno alcuno. Il tepore di casa consola il corpo intirizzito e un po' dolente a causa della pioggia e del vento. Una coperta di tenero affetto, un afflato di conoscibilità.
Non mi sento straniera, quest'oggi. La mia vita mi appartiene, coincide con ciò che la fantasia disegna indissolubile sul sentiero: tracce di Verità e ironia, di mare abbandonato dall'uomo.
Il sole è sorto a mezzodì, in questo novembre che par uscito dall'estro birichino di Dalì.
Non mi resta che muovermi a piccoli passi, leggera, come un ricordo lieto.
La quiete è un Paradiso di primordiali sapori e noi siamo il frutto proibito che ha conosciuto se stesso mordendo la propria carne, in silenzio.
Francesca